lunedì 6 agosto 2012

La fica Ciusa

Anni fa, con l'amico Nene, visitai la mostra dello scultore sardo Francesco Ciusa (morto a Cagliari nel '49), allestita al pianoterra di un palazzo lungo le Zattere, a Venezia.

Pagammo l'entrata. Alla reception una donna e una ragazza, con uno spiccato accento sardo.

Prima di allora non conoscevo l'opera di Ciusa e fu una gran bella scoperta.
I suoi lavori sono un'alchimia di membra figurative amalgamate a forme che ricordano pance di otri e linee design. Fuochi d'artificio per il cervello.

Fra i tanti pezzi in mostra, uno su tutti mi colpì. Era la "Dolorante anima sarda" 1911, gesso. Una donna seduta, col busto ritto e il viso rivolto in alto; fra le ginocchia teneva stretto il suo bambino. Gli occhi buttavano un rancore sconfinato, tanto grande da sfigurarla, da cancellare lo sguardo.
Scagliava contro il cielo un'ira inconsolabile. Era livore riservato a Dio, secondo lei unico colpevole della morte del marito pastore.  Lutto che l'aveva lasciata sola, in balia del destino, con un marmocchio da crescere adulto.
Ciusa si ispirò a un ricordo di gioventù per modellare le forme della Dolorante anima sarda.

Mi accorsi che quell'astio nascondeva altro.
Qualcosa di profondo, che apparteneva alla materia stessa più che alla raffigurazione di un viso disperato, si dimenava feroce al suo interno.

La scultura non aveva le braccia.
Cercai di capire perché.
Lessi il trafiletto a fianco.
Le braccia erano state mozzate volontariamente dall'artista perché "facevano le fiche" e, dovendo partecipare a una biennale veneziana, il gesto era stato reputato troppo blasfemo.

Per quanto malizioso sia il mio ragionare, allora non riuscivo proprio a leggere "fighe". Mi ostinavo a interpretare la parola come "fish", trovando "fiche" troppo volgare e troppo assurda la sua presenza in una mostra raffinata. Non convinto delle mie intuizioni, mi recai alla reception per chiedere informazioni alle tipe. Con un certo imbarazzo.

"Ciao, avrei una cosa da chiedere. Una curiosità. Che vuol dire "fare le fiche"? No perché c'è una scultura di là, senza braccia, che in origine facevano le fiche. Sono in difficoltà, vorrei venire a capo del mistero".

La ragazza mi guardò arrossendo.
La donna sorrise, poi mi rispose.
"Non prenderci in giro. Si capisce lontano un chilometro che sei più sardo di noi. Sai benissimo cosa vuol dire fare le fiche".

"Non fatevi ingannare dal mio aspetto. Anche se piccolo e scuro, e con un cognome sardissimo, sfortunatamente non lo sono".
La donna era titubante.
Mostrai la carta d'identità.
A quel punto si convinse.

Mi spiegò che "fare le fiche è un tipico gestaccio sardo, l'equivalente del più comune dito medio alzato.
Mani strette a pugno, il pollice infilato fra indice e medio. La punta del dito opponibile vien fuori dalle altre due come una linguaccia".
"La scultura -continuò la donna- in origine, aveva le braccia incrociate, alzate e rivolte verso dio, con le mani che facevano, appunto, le fiche".

Mistero svelato.


Mi consegnò una cartolina raffigurante l'opera prima della censura.
"Un regalo".
Ringraziai e tornai nella stanza delle sculture.
Mi avvicinai alla Dolorante anima sarda.

Confrontai la cartolina con il pezzo reale.
Seppur doloroso e piegato dalla mestizia, lo sguardo cartaceo era meno furioso di quello della scultura in gesso.
Levare le braccia era stato come tarpare le ali a un uccello. Aveva perso quel tocco scandaloso necessario affinché qualcosa perda la sua valenza di semplice oggetto e diventi opera d'arte.
Eppure, incredibilmente, lo sguardo era diventato assassino e il suo astio verso Dio risultava accresciuto, centuplicato.


Uscii dalla mostra.
La tipa più anziana, prima che me ne andassi, aggiunse:
"Fu la moglie di Ciusa a convincere l'artista che amputare la Dolorante anima sarda era la scelta migliore".


"Le donne, fra loro, riescono ad odiarsi molto di più che fra maschio e femmina. E non si perdonano nulla. Possono dimenticarsene, lasciar perdere, preferire non badare all'offesa. Ma non si perdonano. Se fosse stato un amico a convincere Francesco a tagliar le braccia alla scultura, forse adesso avrebbe un sguardo rassegnato.
I maschi riescono a farsi perdonare dalle femmine quasi tutto (escluse azioni gravi), però, per riuscirci, bisogna essere di maschi un pò ruffiani e un pò figli di puttana". Pensai.

Alla fine, il genio di Ciusa ha avuto la meglio. Ed è questo che conta.

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